Museo del cavatappi
Testi a Cura dei Sommelier di AIS Reggio Emilia.
Contatti per visite al Museo:
Montermini Anselmo
335 7001844
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Iemmi Dario
335 8308038
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Storia del Cavatappi
Miti e leggende ruotano attorno all’invenzione di questo strumento oggigiorno presente nelle case di tutti: un oggetto di uso comune, un oggetto da cucina qualunque, ma che porta con sé secoli di storia.
Tra gli inventori, viene spesso citato lui, “il genio”, Leonardo da Vinci. Qualunque grande appassionato resterebbe incantato al solo pensiero che questo oggetto così perfetto, sia stato ideato da Lui per la prima volta alla fine del ‘400. Peccato che questa diffusa credenza non sia però veritiera. Ahimè, dopo approfondite ricerche l’amara scoperta: quello disegnato e descritto da Leonardo a pagina 1.011 recto del suo “Codice Atlantico” non è un cavatappi (di cui addirittura alcuni sostengono che fosse impostato per poter essere utilizzato sia da destrorsi che da mancini come il suo “inventore”) ma, bensì, un rubinetto per aprire e chiudere contemporaneamente una serie di vasi contenenti acqua, ad esso collegati.
Tra gli inventori, viene spesso citato lui, “il genio”, Leonardo da Vinci. Qualunque grande appassionato resterebbe incantato al solo pensiero che questo oggetto così perfetto, sia stato ideato da Lui per la prima volta alla fine del ‘400. Peccato che questa diffusa credenza non sia però veritiera. Ahimè, dopo approfondite ricerche l’amara scoperta: quello disegnato e descritto da Leonardo a pagina 1.011 recto del suo “Codice Atlantico” non è un cavatappi (di cui addirittura alcuni sostengono che fosse impostato per poter essere utilizzato sia da destrorsi che da mancini come il suo “inventore”) ma, bensì, un rubinetto per aprire e chiudere contemporaneamente una serie di vasi contenenti acqua, ad esso collegati.

Il presunto cavatappi inventato da Leonardo da Vinci – Codice Atlantico pag. 1011 recto
Leggende narrano che l’invenzione di questo strumento sia stata attribuita a personaggi più disparati dai paesi più impensabili come l’Inghilterra e gli USA.
Diverse sono le forme tipiche di altri oggetti che hanno ispirato i primi inventori.
Un oggetto di forma pressoché identica al primogenito cavatappi a “T” pare essere comparso per la prima volta in un quadro a tema religioso della metà del 1400, oggi appartenente alla collezione del Museo di Stato di Berlino, nel quale è rappresentata una suora impegnata a spillare vino per la messa da una botte alla quale ha praticato un foro con uno strumento chiamato “punteruolo per botti”.
Diverse sono le forme tipiche di altri oggetti che hanno ispirato i primi inventori.
Un oggetto di forma pressoché identica al primogenito cavatappi a “T” pare essere comparso per la prima volta in un quadro a tema religioso della metà del 1400, oggi appartenente alla collezione del Museo di Stato di Berlino, nel quale è rappresentata una suora impegnata a spillare vino per la messa da una botte alla quale ha praticato un foro con uno strumento chiamato “punteruolo per botti”.

Simon Marmion “Scene della vita di San Bertin” (1455-1459)
Il parente più prossimo del cavatappi, tuttavia, sia per forma che per scopo, pare essere il “cavapallottole”.
Questo strumento, capace di estrarre qualcosa da una sede di forma cilindrica, sembra fosse impiegato sui campi di battaglia a partire dagli anni ’30 del 1600, per estrarre proiettili rimasti incastrati nelle canne di armi da fuoco o cannoni.
Questo strumento, capace di estrarre qualcosa da una sede di forma cilindrica, sembra fosse impiegato sui campi di battaglia a partire dagli anni ’30 del 1600, per estrarre proiettili rimasti incastrati nelle canne di armi da fuoco o cannoni.

Esempio di cavapallottole del XVII secolo
Come tutte le invenzioni che si rispettino, anche quella del cavatappi è nata da un “nuovo bisogno” arrivato in seguito all’invenzione di qualcos’altro: in questo caso si pensi al contenitore inteso come “bottiglia di vetro” per contenere vino, medicinali, profumi, cosmetici, che necessitava di un sistema di serraggio che ha trovato nel “tappo di sughero” il partner perfetto.
Fino a quando il vino era destinato prettamente al commercio e al consumo interno al paese in cui era prodotto, i contenitori in cui “viaggiava” erano fusti o botti di legno, ed ancora prima, anfore di terracotta.
Una volta spillato, veniva servito agli ospiti in caraffe o in bottiglie malamente serrate da tappi di legno avvolti nella stoppa, incapaci di assicurare una chiusura perfetta.
Inghilterra e Olanda nel XVII secolo non producevano vino, ma erano i Paesi che lo importavano e consumavano più di tutti gli altri: per questi motivi sentirono ben presto la necessità di mantenere il prodotto in un contenitore che ne garantisse la conservazione e l’invecchiamento più a lungo. Fu proprio in quel periodo che l’Inghilterra iniziò a produrre le prime bottiglie di vetro “nero” soffiato.
Venne da sé, che il tappo di legno con la stoppa doveva essere sostituito da una chiusura che garantisse una maggiore tenuta: ecco perché videro la luce i primi tappi di sughero, generati da materiale più elastico e aderente. Inizialmente venivano inseriti soltanto per metà nel collo della bottiglia, così da permetterne l’estrazione con la sola forza delle mani. Italia e Portogallo, i due Paesi da cui Inghilterra e Olanda si rifornivano maggiormente di vino, erano anche grandi produttori di sughero.
Questo nuovo sistema di chiusura delle bottiglie, segno evidente di una concezione che prevedeva ancora il consumo del vino in un breve lasso di tempo dall’imbottigliamento, per Inglesi e Olandesi non poteva andare bene: questi Paesi richiedevano infatti una totale chiusura per avere garanzia di massima tenuta del vino nel tempo, perciò pretesero che il tappo fosse inserito per intero, nel collo della bottiglia.
Ben presto anche farmaci, profumi e cosmetici furono commercializzati in bottigliette e flaconi di vetro chiusi da tappi di sughero. Ecco perché nacque la necessità di inventare uno strumento che aprisse questi contenitori.
Al momento della sua comparsa, all’inizio del XVIII secolo, la bottiglia di vetro soffiata a bocca era piuttosto fragile, costosa e di capacità incerta. Così come in Francia, anche nel nostro paese, per contrastare il rischio di frodi dovuto alle irregolarità delle bottiglie prodotte dagli artigiani soffiatori locali e per garantire una migliore e più longeva conservazione del vino, si iniziò a commercializzare vino in bottiglie di vetro grazie al Regio Decreto del 25 maggio 1728, emanato da Luigi XV.
Da quel momento, finalmente comparvero sul mercato le bottiglie di “vetro nero” prodotte in Inghilterra, vetri di struttura più resistente e di capacità garantita.
L’incidenza dei tappi totalmente inseriti nel collo e che si potevano rompere durante l’estrazione, era molto alta, come riuscire quindi ad estrarli facilmente e senza danneggiarli?
Inizialmente si ricorse agli strumenti che si avevano a disposizione, come uncini o ferri appuntiti.
Qualcuno si ingegnò e scoprì che il già citato cavapallottole, ben si adattava a questo uso.
Le armerie dell’epoca, favorite da questa scoperta, non fecero altro che “trasformare” i cavapallottole nei primi esemplari di cavatappi che, di fatto, ne sfruttavano il medesimo sistema di funzionamento. “Messrs Holtzapffel” di Charing Cross, una famosa armeria inglese, avendo intuito che lo strumento da lì a poco sarebbe diventato indispensabile, nel 1680 tentò addirittura di brevettarlo ma non vi riuscì.
Fu così che nel giro di poco tempo, il cavaturaccioli divenne uno status symbol: più era importante l’artigiano o l’orafo che lo aveva realizzato e più erano preziosi e rari i materiali con cui era costruito, maggiore era il ceto sociale o del clero a cui apparteneva il committente.
Furono realizzati anche modelli in miniatura, destinati ad aprire bottigliette che contenevano medicinali, profumi e cosmetici, ma qualunque fosse il contenitore che il tirabusciò fosse destinato ad aprire, fin dalle sue origini, è sempre stato considerato un oggetto di prima necessità che mai sarebbe dovuto mancare fra gli “accessori” indispensabili. Alcune famiglie alto borghesi dell’epoca, lo tenevano attaccato alla catenella dell’orologio a cipolla o chi addirittura nel manico del bastone da passeggio. Era ormai uno status symbol anche per le donne che usavano tenerlo appeso alla chatelaine.
Fino a quando il vino era destinato prettamente al commercio e al consumo interno al paese in cui era prodotto, i contenitori in cui “viaggiava” erano fusti o botti di legno, ed ancora prima, anfore di terracotta.
Una volta spillato, veniva servito agli ospiti in caraffe o in bottiglie malamente serrate da tappi di legno avvolti nella stoppa, incapaci di assicurare una chiusura perfetta.
Inghilterra e Olanda nel XVII secolo non producevano vino, ma erano i Paesi che lo importavano e consumavano più di tutti gli altri: per questi motivi sentirono ben presto la necessità di mantenere il prodotto in un contenitore che ne garantisse la conservazione e l’invecchiamento più a lungo. Fu proprio in quel periodo che l’Inghilterra iniziò a produrre le prime bottiglie di vetro “nero” soffiato.
Venne da sé, che il tappo di legno con la stoppa doveva essere sostituito da una chiusura che garantisse una maggiore tenuta: ecco perché videro la luce i primi tappi di sughero, generati da materiale più elastico e aderente. Inizialmente venivano inseriti soltanto per metà nel collo della bottiglia, così da permetterne l’estrazione con la sola forza delle mani. Italia e Portogallo, i due Paesi da cui Inghilterra e Olanda si rifornivano maggiormente di vino, erano anche grandi produttori di sughero.
Questo nuovo sistema di chiusura delle bottiglie, segno evidente di una concezione che prevedeva ancora il consumo del vino in un breve lasso di tempo dall’imbottigliamento, per Inglesi e Olandesi non poteva andare bene: questi Paesi richiedevano infatti una totale chiusura per avere garanzia di massima tenuta del vino nel tempo, perciò pretesero che il tappo fosse inserito per intero, nel collo della bottiglia.
Ben presto anche farmaci, profumi e cosmetici furono commercializzati in bottigliette e flaconi di vetro chiusi da tappi di sughero. Ecco perché nacque la necessità di inventare uno strumento che aprisse questi contenitori.
Al momento della sua comparsa, all’inizio del XVIII secolo, la bottiglia di vetro soffiata a bocca era piuttosto fragile, costosa e di capacità incerta. Così come in Francia, anche nel nostro paese, per contrastare il rischio di frodi dovuto alle irregolarità delle bottiglie prodotte dagli artigiani soffiatori locali e per garantire una migliore e più longeva conservazione del vino, si iniziò a commercializzare vino in bottiglie di vetro grazie al Regio Decreto del 25 maggio 1728, emanato da Luigi XV.
Da quel momento, finalmente comparvero sul mercato le bottiglie di “vetro nero” prodotte in Inghilterra, vetri di struttura più resistente e di capacità garantita.
L’incidenza dei tappi totalmente inseriti nel collo e che si potevano rompere durante l’estrazione, era molto alta, come riuscire quindi ad estrarli facilmente e senza danneggiarli?
Inizialmente si ricorse agli strumenti che si avevano a disposizione, come uncini o ferri appuntiti.
Qualcuno si ingegnò e scoprì che il già citato cavapallottole, ben si adattava a questo uso.
Le armerie dell’epoca, favorite da questa scoperta, non fecero altro che “trasformare” i cavapallottole nei primi esemplari di cavatappi che, di fatto, ne sfruttavano il medesimo sistema di funzionamento. “Messrs Holtzapffel” di Charing Cross, una famosa armeria inglese, avendo intuito che lo strumento da lì a poco sarebbe diventato indispensabile, nel 1680 tentò addirittura di brevettarlo ma non vi riuscì.
Fu così che nel giro di poco tempo, il cavaturaccioli divenne uno status symbol: più era importante l’artigiano o l’orafo che lo aveva realizzato e più erano preziosi e rari i materiali con cui era costruito, maggiore era il ceto sociale o del clero a cui apparteneva il committente.
Furono realizzati anche modelli in miniatura, destinati ad aprire bottigliette che contenevano medicinali, profumi e cosmetici, ma qualunque fosse il contenitore che il tirabusciò fosse destinato ad aprire, fin dalle sue origini, è sempre stato considerato un oggetto di prima necessità che mai sarebbe dovuto mancare fra gli “accessori” indispensabili. Alcune famiglie alto borghesi dell’epoca, lo tenevano attaccato alla catenella dell’orologio a cipolla o chi addirittura nel manico del bastone da passeggio. Era ormai uno status symbol anche per le donne che usavano tenerlo appeso alla chatelaine.
Modelli brevettati
Il reverendo inglese Samuel Henshall fu il primo a brevettare un cavatappi nel 1795, sebbene non fosse stato il primo ad inventarne e costruirne uno. Lo fece fabbricare da un industriale suo amico di Birmingham, tale Matthew Boulton, e altro non era che un cavatappi a “T” (stessa forma del punteruolo per botti), ma con un disco di metallo che permetteva al tappo di ruotare nel collo della bottiglia ed evitava, nel contempo, che questo venisse forato per intero e spinto verso l’interno della stessa. Sebbene per estrarre un tappo con questo strumento richiedesse una certa forza e destrezza, fu utilizzato per più di un secolo.
Il secondo brevetto, del 1802, appartiene sempre ad un inglese: Mr. Edward Thomason. Nel suo caso si tratta di un complesso congegno “a campana” che permetteva di estrarre il tappo senza mai toccarlo con le dita, basato su un sistema a due viti (una che gira in senso orario e l’altra in senso antiorario) entrambe montate su un fusto. Una volta posizionata la campana sul collo della bottiglia, bastava girare il manico in senso orario perché il verme penetrasse nel tappo e lo estraesse. Una volta completata l’estrazione, per rimuoverlo dal cavatappi, bastava ruotare il manico nella direzione opposta (antioraria).
Seguono due brevetti francesi nel 1828, il primo chiamato cavatappi a “rubinetto” e, nel 1838 un cavatappi denominato “a doppia vite”, molto simile a quello di Thomason, ma che parrebbe risalire al 1860.
Nel 1883 è il turno del tedesco Carl F.A. Wienke, che brevetta un nuovo modello di cavatappi a leva, tascabile e pieghevole, a noi noto come “cavatappi da Sommellier” o, in Francia, come “Limonadier” o, semplicemente “Sommelier”. Si tratta di un accessorio che combina tre elementi: un verme in acciaio per forare il tappo di sughero, un apribottiglie e una leva sulla quale agire per estrarre il tappo, una volta che il verme lo ha penetrato.
Il secondo brevetto, del 1802, appartiene sempre ad un inglese: Mr. Edward Thomason. Nel suo caso si tratta di un complesso congegno “a campana” che permetteva di estrarre il tappo senza mai toccarlo con le dita, basato su un sistema a due viti (una che gira in senso orario e l’altra in senso antiorario) entrambe montate su un fusto. Una volta posizionata la campana sul collo della bottiglia, bastava girare il manico in senso orario perché il verme penetrasse nel tappo e lo estraesse. Una volta completata l’estrazione, per rimuoverlo dal cavatappi, bastava ruotare il manico nella direzione opposta (antioraria).
Seguono due brevetti francesi nel 1828, il primo chiamato cavatappi a “rubinetto” e, nel 1838 un cavatappi denominato “a doppia vite”, molto simile a quello di Thomason, ma che parrebbe risalire al 1860.
Nel 1883 è il turno del tedesco Carl F.A. Wienke, che brevetta un nuovo modello di cavatappi a leva, tascabile e pieghevole, a noi noto come “cavatappi da Sommellier” o, in Francia, come “Limonadier” o, semplicemente “Sommelier”. Si tratta di un accessorio che combina tre elementi: un verme in acciaio per forare il tappo di sughero, un apribottiglie e una leva sulla quale agire per estrarre il tappo, una volta che il verme lo ha penetrato.

Nel 1888 Neville Heeley, uno dei direttori dell’azienda di Birmingham “James Heeley & Sons”, prendendo spunto dall’invenzione del 1880 di uno dei suoi dipendenti, tal William Burton Baker, inventò un cavatappi “a doppie leve simmetriche” e con meccanismo “a cremagliera”, caratterizzato da due bracci che lavorano in modo sincrono perché uniti da una stessa guida che agisce sul manico.
Questo tipo di cavatappi ebbe un successo indiscusso, tanto da rimanere sulla cresta dell’onda per quasi sei decenni.
Nel 1930 l’italo-americano Dominick Rosati deposita, negli Stati Uniti, la sua versione di questo cavatappi:
Questo tipo di cavatappi ebbe un successo indiscusso, tanto da rimanere sulla cresta dell’onda per quasi sei decenni.
Nel 1930 l’italo-americano Dominick Rosati deposita, negli Stati Uniti, la sua versione di questo cavatappi:

Noto anche con il nome di “Charles-De-Gaulle”, per l’abitudine che il generale De Gaulle aveva di sollevare le braccia per salutare le folle, durante i suoi discorsi.

Facciamo un balzo in avanti fino al 1981, quando negli Stati Uniti viene registrato il brevetto del cavatappi modello “Screwpull” progettato dall’ingegner Herbert Allen, professionista in ambito petrolifero ed aerospaziale e consulente della NASA.
Allen, appassionato di vino fino dagli anni ’50, fece un viaggio in Europa per approfondire i suoi studi sul tema e decise di realizzare il suo prodotto utilizzando materiali innovativi fra i quali policarbonato e nuovi metalli in lega leggera, per ideare un cavatappi che potesse adattarsi a tutte le forme di bottiglia e ne permettesse l’apertura senza fatica. Soprattutto, questi cavatappi, limitavano il rischio di rotture del tappo ed erano certamente più performanti.
Di fatto si trattava di un cavatappi a campana “evoluto”, con una campana aperta e con due “gambe” flessibili, realizzate in policarbonato, capaci di adattarsi al collo della bottiglia e fare da leva.
Dopo aver “vestito” la bottiglia, bastava girare il manico del cavatappi per inserire il verme nel sughero fino al fermo e, raggiunto questo limite, tirare per estrarre il tappo.
Questo modello di cavatappi è l’unico, in tutto il mondo, a potersi fregiare dell’onore di trovarsi esposto al Moma di New York, in quanto considerato “oggetto di design”.
Allen, appassionato di vino fino dagli anni ’50, fece un viaggio in Europa per approfondire i suoi studi sul tema e decise di realizzare il suo prodotto utilizzando materiali innovativi fra i quali policarbonato e nuovi metalli in lega leggera, per ideare un cavatappi che potesse adattarsi a tutte le forme di bottiglia e ne permettesse l’apertura senza fatica. Soprattutto, questi cavatappi, limitavano il rischio di rotture del tappo ed erano certamente più performanti.
Di fatto si trattava di un cavatappi a campana “evoluto”, con una campana aperta e con due “gambe” flessibili, realizzate in policarbonato, capaci di adattarsi al collo della bottiglia e fare da leva.
Dopo aver “vestito” la bottiglia, bastava girare il manico del cavatappi per inserire il verme nel sughero fino al fermo e, raggiunto questo limite, tirare per estrarre il tappo.
Questo modello di cavatappi è l’unico, in tutto il mondo, a potersi fregiare dell’onore di trovarsi esposto al Moma di New York, in quanto considerato “oggetto di design”.

Con l’avvento del XXI secolo e l’aumento del numero degli appassionati di vino, l’estro arriva alle massime espressioni con l’invenzione di sistemi di apertura facilitata delle bottiglie di vino, come il cavatappi “elettrico” (dotato di batterie ricaricabili): basta un tocco di dito e la bottiglia viene stappata con delicatezza.
Insieme agli appassionati, compaiono in questo secolo anche gli estimatori e collezionisti di bottiglie di annate importanti e speciali.
Già di per sé, stappare una bottiglia di vino è un vero e proprio rituale, ma quando si ha la fortuna di averne tra le mani una di un’annata particolare, o di un produttore storico o di qualche denominazione considerata di particolare rilevanza, l’attenzione e la cura da riservare a queste rarità sono elevate ai massimi livelli.
Ecco allora che l’invenzione del “cavatappi a lame” diventa fondamentale per estrarre tappi in cattivo stato o particolarmente delicati, perché inseriti nel collo della bottiglia parecchi decenni prima, permettendo al liquido di rimanere tale e garantendo una estrazione del tappo senza residui.
Trova spazio in questa evoluzione, anche il cavatappi “Coravin”, la cui funzione principale è quella di permettere la mescita al calice di bottiglie di particolare valore, senza doverle per forza consumare immediatamente fino alla fine, perché il tappo viene solamente forato. Grazie a questo strumento, il vino espulso grazie alla pressione esercitata dal gas contenuto nella bomboletta del cavatappi, può essere consumato nel calice preservando la stabilità di quello rimasto nella bottiglia perché sostituito dal nobile argon, che impedisce all’aria di entrare e di ossidare il prezioso liquido.
Il più grande esemplare di cavatappi mai costruito è stato realizzato dall’artista britannico Rob Higgs e si tratta di un marchingegno alto più di un metro e mezzo e costituito da circa 400 pezzi di bronzo collegati tra di loro. Questo particolare cavatappi, non certo tascabile né tantomeno portatile, oltre a rimuovere il tappo era dotato di un sistema per effettuare il servizio del primo bicchiere di vino dopo l’apertura della bottiglia.
Insieme agli appassionati, compaiono in questo secolo anche gli estimatori e collezionisti di bottiglie di annate importanti e speciali.
Già di per sé, stappare una bottiglia di vino è un vero e proprio rituale, ma quando si ha la fortuna di averne tra le mani una di un’annata particolare, o di un produttore storico o di qualche denominazione considerata di particolare rilevanza, l’attenzione e la cura da riservare a queste rarità sono elevate ai massimi livelli.
Ecco allora che l’invenzione del “cavatappi a lame” diventa fondamentale per estrarre tappi in cattivo stato o particolarmente delicati, perché inseriti nel collo della bottiglia parecchi decenni prima, permettendo al liquido di rimanere tale e garantendo una estrazione del tappo senza residui.
Trova spazio in questa evoluzione, anche il cavatappi “Coravin”, la cui funzione principale è quella di permettere la mescita al calice di bottiglie di particolare valore, senza doverle per forza consumare immediatamente fino alla fine, perché il tappo viene solamente forato. Grazie a questo strumento, il vino espulso grazie alla pressione esercitata dal gas contenuto nella bomboletta del cavatappi, può essere consumato nel calice preservando la stabilità di quello rimasto nella bottiglia perché sostituito dal nobile argon, che impedisce all’aria di entrare e di ossidare il prezioso liquido.
Il più grande esemplare di cavatappi mai costruito è stato realizzato dall’artista britannico Rob Higgs e si tratta di un marchingegno alto più di un metro e mezzo e costituito da circa 400 pezzi di bronzo collegati tra di loro. Questo particolare cavatappi, non certo tascabile né tantomeno portatile, oltre a rimuovere il tappo era dotato di un sistema per effettuare il servizio del primo bicchiere di vino dopo l’apertura della bottiglia.

Il cavatappi di Robb Higgs
Brevetti italiani
Si è parlato tanto di Inghilterra, Francia, Germania e USA, ma esistono brevetti italiani di cavatappi?
La risposta è sì!
È d’obbligo premettere che già a metà del 1700 il “tirabusson”, anche nella sua accezione francese, era un oggetto noto agli italiani perché citato in due opere teatrali di Carlo Goldoni: “La moglie saggia” – 1752 – e “I morbinosi” – 1759. Il fatto che fosse stato citato però, non è sinonimo di alcuna ipotesi che, a quell’epoca, esistessero modelli inventati o realizzati in Italia.
L’arrivo “tardivo” di brevetti italiani è da imputarsi a motivi “burocratici”: l’istituzione dell’Ufficio Brevetti, in Italia, avvenne solo nel 1864 e riferita ai primissimi anni del 1900, tanto che non si trovano fonti che datano con certezza il primo brevetto italiano di questo articolo, o quanto meno un primo modello “patented” nel Bel Paese.
Nell’arco di una cinquantina d’anni nascono svariati congegni: “a cremagliera”, “a pignone”, “a manovella”, a “leve laterali”, “a multiple leve” e “a concertina/fisarmonica”.
Di particolare importanza storica è il cavatappi “Eterno” a leve laterali brevettato nell’immediato dopoguerra da Ettore Cardini di Omegna che, dopo la fine del Secondo conflitto mondiale, mutò la sua produzione di giocattoli di latta destinati a bambini di famiglie benestanti in oggetti di uso domestico, i quali si rivelarono ben più necessari dato il periodo storico.
L’ingegno è figlio della necessità, tanto che nel 1966, il costruttore di componenti per biciclette più rinomato dell’epoca, Getullio Campagnolo, non riuscendo ad aprire una bottiglia di vino con l’ausilio del cavatappi a spirale, inventò e brevettò un nuovo cavatappi “a leve laterali” che, di fatto, fu una evoluzione migliorativa del cavatappi “Eterno” di Cardini, poiché dotato di una campana autocentrante, che garantiva una foratura del tappo in modo corretto e, di conseguenza, una solida garanzia di successo nell’operazione di stappatura.
Grazie all’estro e alla fantasia di inventori e designer che, nei secoli, hanno inventato e disegnato cavatappi dalle forme e dimensioni più disparate, questo oggetto è diventato un vero e proprio “oggetto di culto” e da “collezione”. È possibile trovarne di forme “osè” o “dissacranti”, altri sono “divertenti caricature” di personaggi politici, dei fumetti o del cinema; altri ancora rappresentano personaggi del mondo della ristorazione oppure sono pensati come oggetti pubblicitari perché stampati con loghi e marchi di aziende del settore vinicolo.
Non a caso, in Italia e nel mondo, sono nati diversi musei del cavatappi nonché una Associazione Italiana di collezionisti di questo oggetto, la AICC.
Oltre al museo allestito nella Sede AIS Emilia in gestione alla delegazione di Reggio Emilia – che conta circa 400 esemplari – in Italia i più rinomati sono quelli di Barolo (CN), di Sala Baganza (PR), di Mazzano (BS) e di Montecalvo Versiggia (PV).
A Bucarest, in Romania, è possibile visitare il Museo dei Record Rumeni con una collezione di oltre 30.000 cavatappi, mentre in Francia, a Ménerbes nella regione del Louberon a pochi chilometri da Avignone, ha sede il Musée du Tirebouchon.
La risposta è sì!
È d’obbligo premettere che già a metà del 1700 il “tirabusson”, anche nella sua accezione francese, era un oggetto noto agli italiani perché citato in due opere teatrali di Carlo Goldoni: “La moglie saggia” – 1752 – e “I morbinosi” – 1759. Il fatto che fosse stato citato però, non è sinonimo di alcuna ipotesi che, a quell’epoca, esistessero modelli inventati o realizzati in Italia.
L’arrivo “tardivo” di brevetti italiani è da imputarsi a motivi “burocratici”: l’istituzione dell’Ufficio Brevetti, in Italia, avvenne solo nel 1864 e riferita ai primissimi anni del 1900, tanto che non si trovano fonti che datano con certezza il primo brevetto italiano di questo articolo, o quanto meno un primo modello “patented” nel Bel Paese.
Nell’arco di una cinquantina d’anni nascono svariati congegni: “a cremagliera”, “a pignone”, “a manovella”, a “leve laterali”, “a multiple leve” e “a concertina/fisarmonica”.
Di particolare importanza storica è il cavatappi “Eterno” a leve laterali brevettato nell’immediato dopoguerra da Ettore Cardini di Omegna che, dopo la fine del Secondo conflitto mondiale, mutò la sua produzione di giocattoli di latta destinati a bambini di famiglie benestanti in oggetti di uso domestico, i quali si rivelarono ben più necessari dato il periodo storico.
L’ingegno è figlio della necessità, tanto che nel 1966, il costruttore di componenti per biciclette più rinomato dell’epoca, Getullio Campagnolo, non riuscendo ad aprire una bottiglia di vino con l’ausilio del cavatappi a spirale, inventò e brevettò un nuovo cavatappi “a leve laterali” che, di fatto, fu una evoluzione migliorativa del cavatappi “Eterno” di Cardini, poiché dotato di una campana autocentrante, che garantiva una foratura del tappo in modo corretto e, di conseguenza, una solida garanzia di successo nell’operazione di stappatura.
Grazie all’estro e alla fantasia di inventori e designer che, nei secoli, hanno inventato e disegnato cavatappi dalle forme e dimensioni più disparate, questo oggetto è diventato un vero e proprio “oggetto di culto” e da “collezione”. È possibile trovarne di forme “osè” o “dissacranti”, altri sono “divertenti caricature” di personaggi politici, dei fumetti o del cinema; altri ancora rappresentano personaggi del mondo della ristorazione oppure sono pensati come oggetti pubblicitari perché stampati con loghi e marchi di aziende del settore vinicolo.
Non a caso, in Italia e nel mondo, sono nati diversi musei del cavatappi nonché una Associazione Italiana di collezionisti di questo oggetto, la AICC.
Oltre al museo allestito nella Sede AIS Emilia in gestione alla delegazione di Reggio Emilia – che conta circa 400 esemplari – in Italia i più rinomati sono quelli di Barolo (CN), di Sala Baganza (PR), di Mazzano (BS) e di Montecalvo Versiggia (PV).
A Bucarest, in Romania, è possibile visitare il Museo dei Record Rumeni con una collezione di oltre 30.000 cavatappi, mentre in Francia, a Ménerbes nella regione del Louberon a pochi chilometri da Avignone, ha sede il Musée du Tirebouchon.